sabato 22 maggio 2021

GIOVANNI FALCONE E LA SUA SCORTA: I RICORDI DI UN PAPÀ

 



Nell’anno 1987 mio padre fu trasferito per servizio, insieme ad un centinaio di poliziotti, a Palermo dove si celebrava il maxiprocesso contro “Cosa nostra”. Questo processo vide alla sbarra centinaia di imputati per mafia. Durante i tre mesi passati a Palermo, mio padre effettuava servizio di scorta e vigilanza agli obiettivi più sensibili del periodo. Tra gli uomini più temuti dalla mafia vi erano i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che avevano emesso oltre 400 ordinanze di custodia cautelare in carcere ed erano gli autori dell’apertura del maxiprocesso a Palermo. I due magistrati erano super protetti dalle forze dell’ordine tra cui c’era anche mio padre. Nella breve esperienza fatta a Palermo, mio padre ha avuto modo di conoscere personalmente il magistrato Giovanni Falcone, il quale diceva che a fargli da scorta dovevano essere tutti ragazzi giovani e senza figli perché, in caso di un eventuale attentato nei suoi confronti, non ci sarebbero stati mogli e figli che avrebbero pianto per le loro morti; questo ci dimostra che il magistrato Giovanni Falcone sapeva già quale sarebbe stato il suo destino e il rischio che correva; lui però aveva messo l’ideale davanti alla vita, il futuro degli altri davanti al proprio. Era un uomo coraggioso e spiegava: "L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare da essa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza."

Mio padre mi ha raccontato che spesso effettuava il servizio di vigilanza presso l’abitazione del magistrato Falcone sita in via Emanuele Notarbartolo e per fare questo servizio si metteva in una garitta, cioè una specie di cabina blindata posizionata davanti alla sua abitazione. Una sera verso le ore 23.00, il caposcorta chiamò sul telefono fisso che si trovava all’interno della garitta comunicando a mio padre che da lì a qualche minuto sarebbe arrivato il magistrato Falcone per fare rientro a casa. A quel punto tutta la vigilanza si attivò per bloccare il transito delle automobili che passavano sulla strada principale dove c'era l’abitazione del magistrato; mio padre si posizionò all’incrocio del semaforo e bloccò un camion della nettezza urbana, poi subito dopo vide in lontananza avanzare l’auto, con il lampeggiante acceso, su cui viaggiava il magistrato Falcone. Improvvisamente da dietro al camion della nettezza urbana sbucò, sgommando, un’auto con quattro ragazzi a bordo e mio padre tempestivamente la bloccò facendola accostare al lato della strada: così l’auto fu immediatamente accerchiata dagli agenti di polizia.

Fu un momento di tensione perché mio padre e i suoi colleghi, vedendo l’auto sbucare all’improvviso, avevano pensato che si trattasse di un attentato al magistrato; in realtà erano solo dei ragazzi che non avevano notato il posto di blocco perché posizionati dietro al camion della nettezza urbana. Dopo qualche secondo passò l’auto blindata con il magistrato a bordo, il quale vide che le forze di polizia avevano fermato e circondato l’auto per la sua protezione, perché avevano temuto un attentato alla sua persona. Egli infatti non ignorava il pericolo che correva.

Dopo circa 30 minuti, dopo aver effettuato le perquisizioni e le identificazioni, i ragazzi furono rilasciati e la tensione lentamente scomparve. Quando tutto era ritornato alla normalità, il magistrato Falcone scese dalla sua abitazione e con un sorriso sulle labbra portò il caffè a mio padre e ad un altro collega che sorvegliavano la sua abitazione dalla garitta, augurando loro la buonanotte. Falcone aveva fatto questo gesto gentile con semplicità perché aveva percepito la tensione provata dagli uomini che lo scortavano e sapeva che rischiavano la loro vita per spirito di servizio

Lui era consapevole che gli uomini della scorta lo proteggevano con la coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte, perché sapeva bene che in Sicilia la mafia avrebbe colpito i servitori dello stato e che non la si sarebbe potuta sconfiggere in breve tempo. Falcone aveva premonito quanto sarebbe accaduto a Capaci; lui però non aveva paura o meglio non si lasciava condizionare dalla paura ma affrontò il suo destino senza tirarsi indietro. Ad un giornalista che gli chiese se aveva paura di lasciare Palermo, lui rispose: “Sono un siciliano, per me la vita vale quanto un bottone di questa giacca.”

Quando nel 1992 mio padre ha saputo la notizia della morte di Giovanni Falcone ha pianto, perché è morto un eroe che ha sacrificato la sua vita per lo stato e per le istituzioni. Mio padre mi ha promesso che appena sarà possibile mi porterà a Palermo a visitare la casa di Falcone e la garitta di casa Falcone che oggi è diventata un museo. Voglio visitare i luoghi della speranza, LA SPERANZA CHE LO STATO SAPPIA VINCERE OGNI MAFIA

La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni."  (Giovanni Falcone)

                                                                                      Mariapia