Nell’anno 1987 mio padre fu trasferito per servizio, insieme ad un
centinaio di poliziotti, a Palermo dove si celebrava il maxiprocesso contro “Cosa
nostra”. Questo processo vide alla sbarra centinaia di imputati per
mafia. Durante i tre mesi passati a Palermo, mio padre effettuava servizio
di scorta e vigilanza agli obiettivi più sensibili del periodo. Tra gli uomini
più temuti dalla mafia vi erano i magistrati Giovanni Falcone e Paolo
Borsellino che avevano emesso oltre 400 ordinanze di custodia cautelare in
carcere ed erano gli autori dell’apertura del maxiprocesso a Palermo. I due
magistrati erano super protetti dalle forze dell’ordine tra cui c’era anche mio
padre. Nella breve esperienza fatta a Palermo, mio padre ha avuto modo di
conoscere personalmente il magistrato Giovanni Falcone, il quale diceva
che a fargli da scorta dovevano essere tutti ragazzi giovani e senza figli
perché, in caso di un eventuale attentato nei suoi confronti, non ci
sarebbero stati mogli e figli che avrebbero pianto per le loro morti; questo ci
dimostra che il magistrato Giovanni Falcone sapeva già quale sarebbe stato il
suo destino e il rischio che correva; lui però aveva messo l’ideale davanti
alla vita, il futuro degli altri davanti al proprio. Era un uomo coraggioso e
spiegava: "L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper
convivere con la propria paura e non farsi condizionare da essa. Ecco, il
coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza."
Mio padre mi ha raccontato che spesso effettuava il servizio di vigilanza
presso l’abitazione del magistrato Falcone sita in via Emanuele
Notarbartolo e per fare questo servizio si metteva in una garitta, cioè una
specie di cabina blindata posizionata davanti alla sua abitazione. Una sera verso
le ore 23.00, il caposcorta chiamò sul telefono fisso che si trovava
all’interno della garitta comunicando a mio padre che da lì a qualche
minuto sarebbe arrivato il magistrato Falcone per fare rientro a casa. A quel
punto tutta la vigilanza si attivò per bloccare il transito delle automobili
che passavano sulla strada principale dove c'era l’abitazione del magistrato;
mio padre si posizionò all’incrocio del semaforo e bloccò un camion
della nettezza urbana, poi subito dopo vide in lontananza avanzare l’auto,
con il lampeggiante acceso, su cui viaggiava il magistrato Falcone.
Improvvisamente da dietro al camion della nettezza urbana sbucò, sgommando,
un’auto con quattro ragazzi a bordo e mio padre tempestivamente la
bloccò facendola accostare al lato della strada: così l’auto fu
immediatamente accerchiata dagli agenti di polizia.
Fu un momento di tensione perché mio padre e i suoi colleghi, vedendo
l’auto sbucare all’improvviso, avevano pensato che si trattasse di un attentato
al magistrato; in realtà erano solo dei ragazzi che non avevano notato il
posto di blocco perché posizionati dietro al camion della nettezza urbana. Dopo
qualche secondo passò l’auto blindata con il magistrato a bordo, il quale vide
che le forze di polizia avevano fermato e circondato l’auto per la sua
protezione, perché avevano temuto un attentato alla sua persona. Egli
infatti non ignorava il pericolo che correva.
Dopo circa 30 minuti, dopo aver effettuato le perquisizioni e le
identificazioni, i ragazzi furono rilasciati e la tensione lentamente
scomparve. Quando tutto era ritornato alla normalità, il magistrato Falcone
scese dalla sua abitazione e con un sorriso sulle labbra portò il caffè a mio
padre e ad un altro collega che sorvegliavano la sua abitazione dalla garitta,
augurando loro la buonanotte. Falcone aveva fatto questo gesto gentile con
semplicità perché aveva percepito la tensione provata dagli uomini che lo
scortavano e sapeva che rischiavano la loro vita per spirito di servizio
Lui era consapevole che gli uomini della scorta lo proteggevano con la
coscienza che sarebbero stati partecipi della sua sorte, perché sapeva bene che
in Sicilia la mafia avrebbe colpito i servitori dello stato e che non la si
sarebbe potuta sconfiggere in breve tempo. Falcone aveva premonito quanto
sarebbe accaduto a Capaci; lui però non aveva paura o meglio non si
lasciava condizionare dalla paura ma affrontò il suo destino senza tirarsi
indietro. Ad un giornalista che gli chiese se aveva paura di lasciare
Palermo, lui rispose: “Sono un siciliano, per me la vita vale quanto un
bottone di questa giacca.”
Quando nel 1992 mio padre ha saputo la notizia della morte di Giovanni
Falcone ha pianto, perché è morto un eroe che ha sacrificato la sua vita per lo
stato e per le istituzioni. Mio padre mi ha promesso che appena sarà
possibile mi porterà a Palermo a visitare la casa di Falcone e la garitta di
casa Falcone che oggi è diventata un museo. Voglio visitare i luoghi della
speranza, LA SPERANZA CHE LO STATO SAPPIA VINCERE OGNI MAFIA
“La mafia non è affatto invincibile. È un fatto umano e come tutti i
fatti umani ha un inizio, e avrà anche una fine. Piuttosto bisogna
rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può
vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa
battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni." (Giovanni
Falcone)
Mariapia