sabato 9 maggio 2020

IO SONO NOCE

Questo racconto partecipa all'edizione 2019/2020 del concorso "Felice Tomasone" bandito dal Liceo Alfano I di Salerno.


IO SONO NOCE
Quando ho conosciuto Vittoria, avevo pochi giorni di vita. Ero nato su un albero molto alto nel bel mezzo del territorio degli umani. Non so dirvi come fu che caddi: forse fu la mia mamma a urtarmi o forse mi ero addormentato sul bordo del nido, fatto sta che precipitai a terra. Per fortuna cadendo non mi feci male ma ero spaventato e debole. Sentii delle voci umane che dicevano: - Vedi, è una piccola gazza! E capii che stavano parlando di me; dopo vidi una ragazza riccioluta che mi guardava incuriosita e io in preda al terrore cercai di correre via ma caddi una seconda volta. L’umana mi si avvicinò e con un lenzuolino cercò di prendermi, ma io, avendo paura che mi volesse far del male, andai a finire in mezzo alla strada, dove passavano dei grossi animali di metallo. Uno stava per schiacciarmi ma la giovane umana riuscì a salvarmi. Ero ancora molto spaventato e cercavo di difendermi con il mio piccolo becco ma lei non mi fece del male, anzi mi diede della carne cruda e dopo avermi rifocillato cercò il mio nido ma la ricerca non andò a buon fine. Allora la ragazza si rivolse alle altre umane e sentii che discutevano su chi potesse ospitarmi nella propria casa, (non so cosa sia questa casa ma penso sia un altro modo per dire nido). Fu allora che sentii per la prima volta il nome della ragazza che mi aveva salvato: era Vittoria. Lei decise di portarmi con sé a casa sua: costruì un nido con una scatola, vi pose un lenzuolino per farmi dormire al calduccio, mi diede acqua e cibo e mi sussurrò che mi avrebbe chiamato Noce, forse perché la mia testolina assomigliava alla forma di una noce.
Piano piano ogni timore sparì: nei giorni successivi io e Vittoria diventammo inseparabili; quando lei era triste mi arrampicavo sulle sue spalle e la facevo di nuovo sorridere e lei mi dava da mangiare ogni volta che pigolavo…confesso che lo facevo spesso e lei si disperava se non riusciva a farmi calmare!  Avevo capito che mi voleva bene, tanto che mi permetteva anche di appollaiarmi sulla sua spalla per riscaldarmi tra i suoi folti riccioli. Un giorno Vittoria mi portò fuori sul terrazzo come faceva spesso, ma vidi che c’era una gabbietta la cui porticina era mantenuta aperta da un gancetto per permettermi di entrare e uscire a mio piacimento. Vittoria aveva la speranza che io imparassi presto a volare ma io non volevo ancora andarmene. Ma un giorno... C’era un temporale accompagnato da un vento così forte che mi afferrò e mi spazzò via lontano da Vittoria. Mi ritrovai solo circondato da auto parcheggiate; ne usai una come riparo dal vento e dalla pioggia e intanto pensavo a Vittoria. Stavo per arrendermi al fatto che non l’avrei mai più rivista, soprattutto quando mi accorsi che un gatto mi fissava leccandosi i baffi. Avevo il timore che mi avrebbe mangiato ma alla fine per fortuna non si avvicinò. Nel mio cuore sentivo la speranza di ritrovare Vittoria e dopo sei giorni, mentre frugavo n un bidone verde e puzzolente in cerca di cibo, la vidi! Subito zampettai verso di lei che mi riempì di carezze e mi riportò nuovamente a casa.
Qualche giorno dopo mentre ero su una sbarra di metallo e ripensavo a quando il vento mi aveva trascinatone nel mondo esterno, provavo una strana nostalgia per quei momenti difficili in cui però avevo assaporato la libertà. Proprio in quel momento Vittoria si sedette accanto a me e mi disse: -Voglio che tu stia con i tuoi simili e voli libero, ho capito che vuoi ritornare là fuori. Noce ti voglio bene perché grazie a te ho provato tante emozioni: la gioia di averti salvato, il timore di averti perduto, la speranza di ritrovarti e la determinazione di insegnarti a volare. Ora però devi andare…                                                          
Io guardai Vittoria e lei mi prese sulla sua mano, mi levò verso il cielo e mi disse: - Vola libero, Noce!
Cercai di volare ma non ce la facevo, non lo avevo mai fatto davvero. E mentre mi abbandonavo alla corrente incapace di fare qualsiasi cosa, sentivo di dover trovare la forza per volare: mi occorreva la stessa determinazione di Vittoria che fino a quel momento non si era mai arresa: mi aveva accolto nella sua casa e allevato come suo pulcino, mi aveva curato quando aveva scoperto che ero malato, e ora mi lasciava libero.  Guardai Vittoria per l’ultima volta e volai via…  E ora sono fiero di dirvi che IO SONO NOCE.
                                    (Vittoria Pecoraro)                                      

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